Intervento “ADDICTUS 2022” (4° Forum Nazionale sulle Dipendenze Patologiche) della dott.ssa Lillia Caio Vitagliano
“Chi era Frida Kahlo?
Difficile capire dove finiscano i contorni della persona e nasca il mito.
Difficile parlare del nostro progetto partendo da questa figura senza rischiare di cadere in romantiche banalizzazioni o enfatizzazioni.
Difficile ma imprescindibile.
Le opinioni di chi ha cercato di comprenderne la complessa personalità sono spesso discordanti, c’è chi la descrive come una personalità narcisistica, altri la dipingono borderline, chi pone il focus sulla dipendenza affettiva e chi invece ne sottolinea la resilienza, chi ancora dice che fosse dipendente da dolore. Chi pone l’accento sul disturbo post traumatico da stress e il ricorso all’oppio per tollerare il dolore fisico costante.
Fuori discussione è però che nella vita di Frida Khalo il dolore abbia avuto un ruolo protagonista e predominate.
Concordiamo con chi dice che la donna, non il mito, non sì sia fatta travolgere dal dolore, la sua vita appare costellata da tentativi di non essere il semplice prodotto dei propri traumi.
Dopo il gravissimo incidente in autobus, all’età di 18 anni rimane allettata a lungo. La madre le fa costruire un letto a baldacchino e le appende uno specchio sopra il letto, le regala in modo quadi divinatorio, dei colori e dei pennelli, e Frida comincia a dipingere.
Dipinge sé stessa.
Mi piacerebbe porre l’attenzione su tre aspetti: il tentativo autocurativo e auto contenitivo, l’autoanalisi attraverso il corpo, e infine la resilienza.
Guardarsi allo specchio e dipingersi diventa per Frida una presa di coscienza di sé e della propria estrema condizione, ma anche una modalità diversa di vedersi, di trovare un proprio altro.
Gli autoritratti la aiutano a costruirsi un'immagine della propria persona e a ricrearla sia nell’arte che nella vita, per trovare una nuova identità.
Nei suoi autoritratti si percepisce la tensione emotiva, eppure in nessuno di essi si è travolti da una espressività esagerata e fuori misura. Il vertice dell’espressività viene raggiunto nella compostezza, nel viso volutamente fiero, nel contenere e contenersi, espressione forse anche della consapevolezza di un corpo fragile e limitante.
Per quanto riguarda l’analisi del corpo Frida precede tematiche coraggiose che verranno sviluppate poi, come quella dell’autoanalisi attraverso il corpo, dell’utilizzo di questo delicato luogo come occasione di riflessione e di analisi, il suo corpo infatti è un corpo sofferente; Frida non ha paura di parlare della sofferenza e della morte che spesso appaiono come temi tabu.
Frida è resiliente. Ha vissuto moltissime esperienze durante la sua breve vita, ma nonostante la malattia e i forti dolori ha viaggiato molto, si è dedicata all’arte e alla politica, ha avuto amori più o meno sofferti, non si è fermata tutto il tempo a contemplarsi nello specchio.
Frida non ha accettato che il trauma avesse l’ultima parola sulla sua vita. Ha combattuto corpo a corpo con la seduzione narcisistica di rispecchiarsi e smarrirsi completamente nella propria tragedia.
E quindi come non attingere a questa storia per dare una cornice chiara al nostro progetto?
Il progetto Frida nasce nelle nostre teste qualche anno fa per poi prendere forma definitiva due anni fa.
Lavoravamo come equipe in una pronta accoglienza mista, e quello che sembrava sempre più evidente era che le donne venissero sempre penalizzate. Era frustrante.
Da un lato sentivamo la pressione di non poter garantire un luogo protetto nel quale potessero raccontare le loro storie, spesso traumatiche fatte di violenze e abusi, e dall’altro accadeva matematicamente che nascessero amori fugaci e improvvisi che depistavano dal lavoro terapeutico. E giocavamo a guardia e ladri.
Abbiamo fatto vari tentativi più o meno creativi per salvare capra e cavoli, abbiamo “legalizzato” coppie poco credibili, abbiamo fatto interventi paradossali chiedendo fidanzamenti laddove c’era solo una infatuazione fugace e passeggera, ma sempre e comunque finivamo per perdere le pazienti.
Così nasce l’idea del progetto Frida, e cosi separiamo improvvisamente uomini e donne verso località diverse e ben lontane l’una dall’altra.
Il primo periodo è stato molto faticoso.
Nasce una nuova figura. Quella del corriere che in cambio di cinque sigarette fa da spola fra una struttura e l’altra portando poesie scritte.
Le donne aumentano esponenzialmente il consumo di zucchero per compensare l’inspiegabile assenza degli uomini.
Il livello di conflitto schizza alle stelle. Non sono più distratte dai cavalieri serventi. Si prendono a borsettate e si tirano i capelli per una bustina di zucchero in più.
Decidiamo di non intervenire su quello che è solo un sintomo passeggero, qualcosa che le distoglie dall’entrare in contatto con le proprie storie e il proprio dolore.
Tutto ciò infatti dura qualche mese… e poi finalmente… nasce Frida.
Qual’e’ il focus terapeutico del nostro progetto?
Frida propone un intervento residenziale specifico per donne con Disturbo da Uso di sostanze associato a Personalità borderline per un massimo di 30.
Il progetto di articola in 3 fasi: orientamento e valutazione di circa due mesi; fase terapeutica di 8 mesi circa e reinserimento socio lavorativo di 2 mesi circa.
Il progetto Frida prevede interventi specifici e multifocali che integrano vari modelli teorico-operativi.
In un contesto fortemente protetto e al femminile le pazienti possono, non solo condividere e rielaborare i propri traumi, ma anche recuperare un'esperienza diretta del corpo, ricominciando a riconoscerne i segnali, prendendosene cura, e ad integrare l'immagine di questo corpo con il resto del sé.
Appare inoltre indispensabile fornire alla paziente un percorso di ampliamento della consapevolezza di sé e del proprio funzionamento, ampliando le prospettive di lettura e narrazione della propria storia. Le pazienti imparano quindi a scegliere per sé stesse senza più reagire con comportamenti cristallizzati e automatici alle proprie istante primarie. In tal modo si restituisce alla paziente l'occasione di assumersi la responsabilità di sé, minimizzando i meccanismi di passività e vittimizzazione.
Lo strumento principale del progetto è il gruppo terapeutico che diventa un laboratorio in cui sperimentare nuovi comportamenti relazionali. Le pazienti partecipano a gruppi terapeutici esperienziali e colloqui di mentalizzazione dove significano e metabolizzano, con il sostegno del terapeuta, ciò che hanno sperimentato nel gruppo. L'offerta gruppale prevede lavori esperienziali come lo psicodramma moreniano, il lavoro psicoterapeutico con il corpo, la raccolta del genogramma e la successiva drammatizzazione, il gruppo terapeutico verbale. Insieme a questi stimoli vengono proposti interventi di matrice psicoeducativa, non meno importanti, quali la prevenzione della ricadute, e le skills training.
L'attività clinica di gruppo è l'attività terapeutica principale, viene proposta la terapia di gruppo e in gruppo.
Nel qui dell'incontro terapeutico e nell'ora del tempo vissuto insieme c'è la possibilità di riprendere consapevolezza delle proprie modalità relazionali, ritornando nel presente sulla stessa empasse del passato. Le pazienti sperimentano la possibilità di stare nel “qui e ora così come si è”, non solo attraverso le parole ma attraverso una visione olistica della persona con l'obiettivo di integrare i diversi livelli dell'esperienza umana (cognitiva, corporea, immaginativa, sensoria ed emotiva). L'individuo è sempre figura, il gruppo riveste il ruolo di cassa di risonanza delle problematiche individuali e contenitore di ansie e angosce. Il gruppo costituisce un'insostituibile fonte di sostegno ambientale e riveste nel contempo una funzione co-terapeutica insostituibile.
E adesso per chiudere concedetemi un po' di romanticismo… mi piace questa frase che è il motore del nostro lavoro: Io vedo orizzonti dove tu disegni confini (Frida Khalo).”
Progetto Frida
Il progetto Frida propone un intervento residenziale specifico per donne con struttura di personalità borderline associata a dipendenza da sostanze. Prevede interventi specifici e multifocali che integrano vari modelli teorico-operativi quali: l’approccio motivazionale, la prevenzione della ricaduta, il modello cognitivo comportamentale mutuato da Marsha Linehan, gli studi sul trauma, la psicoterapia della Gestalt, lo psicodramma Moreniano.
La premessa da cui ci muoviamo è la constatazione che sia necessario trattare la dipendenza femminile in un'ottica di genere e in un luogo dedicato, riconoscendo l'esistenza di una specificità e costruendo percorsi individualizzati mirati sulle necessità di ognuna.
In un contesto fortemente protetto e al femminile le pazienti possono, non solo condividere e rielaborare i propri traumi, ma anche recuperare un'esperienza diretta del corpo, ricominciando a riconoscerne i segnali, prendendosene cura e ad integrare l'immagine di questo corpo con il resto del sé.
Il lavoro con le donne è strutturato intorno ad alcuni punti centrali: l'empowerment; la relazione di auto-aiuto tra donne; l'implementazione della capacità del femminile di prendersi cura di sé.
Il Progetto Frida si dirige verso una riorganizzazione della Comunità Terapeutica ed un ripensamento degli ambienti e dei metodi di trattamento in funzione della specificità del femminile.
In questa ristrutturazione abbiamo tenuto conto della doppia valenza della comunità, come contenitore di strumenti e tecniche terapeutico/ riabilitative e come “cura ambientale”.
Il progetto prevede una fase di valutazione e inquadramento diagnostico, della durata di 60 giorni circa, finalizzata alla conoscenza della paziente attraverso la raccolta anamnestica, la somministrazione di test, i colloqui con lo psichiatra e con il terapeuta. L'obiettivo è l'individuazione delle risorse e dei limiti della paziente e del suo contesto di rete al fine di formulare un progetto personalizzato.
La fase di valutazione è altresì cruciale per la costruzione di una alleanza terapeutica che si concretizzi in una relazione di fiducia, sostegno e supporto.
La fase terapeutica della durata di 8 mesi circa è caratterizzata da un approccio complesso che tiene conto della multi problematicità della dipendenza femminile. Il programma prevede nello sfondo il contesto residenziale proposto come clima “affettivo protetto” dove sperimentare relazioni sane, di reciprocità e aiuto. Su questo sfondo alle pazienti viene offerto un ventaglio di proposte cliniche gruppali e singole pensate per sollecitare la significazione e la rielaborazione della propria esperienza.
La fase riabilitativa, della durata di 2 mesi circa, prevede la possibilità di uscita dalla struttura sia per attuare una ricerca lavorativa sia per ricostruire la rete sociale e amicale della paziente.
Le attività riabilitative si affiancano al lavoro terapeutico grazie all’ampliamento ed al consolidamento della rete di servizi che collaborano alla realizzazione dei progetti, come le cooperative sociali, le agenzie interinali, gli uffici di collocamento, piccole imprese della città, centri culturali, sportivi e ricreativi, centri per il volontariato, agenzie immobiliari, gruppi di auto aiuto.
Percorso personalizzato
"Non fare caso a me. Io vengo da un altro pianeta. Io vedo orizzonti dove tu disegni confini."
Frida Khalo
Le fasi del progetto costituiscono solo un canovaccio sul quale costruire i progetti individualizzati, che, a seconda della paziente, possono prevedere variazioni nei tempi e nelle modalità.
Ogni paziente ha un proprio Case Manager che costituisce il punto di riferimento all'interno della comunità e per i familiari.
La paziente viene accompagnata ad individuare per sé e per il proprio benessere, le attività più idonee a supportare la capacità personale di auto-contenimento, gestione del sé, del proprio tempo e dei propri spazi. Sono obbligatorie le attività di turnazione delle pulizie degli spazi comuni e dei propri spazi personali.
Ricettività e ambiente
Il progetto Frida è situato in una grande spazio verde nell’area del Forte Rossarol a Tessera (Ve).
Al suo interno sono posti gli edifici suddivisi in spazi comuni quali le sale gruppi, la mensa, gli spazi ricreativi, il campo di pallavolo.
Le camere sono doppie o triple.
Gli ambienti interni possono essere personalizzati dalle paziente in accordo con i propri terapeuti.